mercoledì 27 luglio 2011







GESU' SI PRENDE CURA  DELL'ANIMA E DEL CORPO


Matteo 15:32-38
Gesù, chiamati a sé i suoi discepoli, disse: «Io ho pietà di questa folla; perché già da tre giorni sta con me e non ha da mangiare; non voglio rimandarli digiuni, affinché non vengano meno per strada».  I discepoli gli dissero: «Dove potremmo trovare, in un luogo deserto, tanti pani da saziare una così gran folla?»  Gesù chiese loro: «Quanti pani avete?» Essi risposero: «Sette, e pochi pesciolini».  Allora egli ordinò alla folla di accomodarsi per terra.  Poi prese i sette pani e i pesci; e, dopo aver reso grazie, li spezzò e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla.  E tutti mangiarono e furono saziati; e, dei pezzi avanzati, si raccolsero sette panieri pieni.  Quelli che avevano mangiato erano quattromila uomini, senza contare le donne e i bambini.

Non c’è episodio biblico più presente di questo negli evangeli.
Matteo ne parla per ben due volte, così anche  Marco. Sembra quasi di vederla questa folla così composita.  Tutti quei volti,  quella sete e  fame di verità, di misericordia, di aiuto, quell’immensa ricerca di senso. Non siamo di fronte, come spesso capita leggendo l’evangelo, ad una donna o ad un uomo che presentano a Gesù il peso insopportabile della propria condizione. Qui, il  grido disperato di chi vuol farsi ascoltare, l’angoscia del singolo è un rumore collettivo e si moltiplica all’infinito. Davanti a questa folla, ancora una volta, Gesù prova pietà. Sono tutti insieme, una vera e propria calca fatta di malati e sani, paralitici e muti; disperazione e rassegnazione si fondono in un indefinita mescolanza. 
Di quei corpi Gesù prova compassione. Ne ha pietà. Questo è il primo movimento che parte dallo sguardo di Gesù. Esso è come la sua Parola; non è rivolto solo alla mente ma al corpo. E Gesù darà il suo stesso corpo per la salvezza del mondo. Egli si rivolge all’interezza della persona senza dividerla, atomizzarla ma restituendole quell’unità, di carne e di spirito, che spesso noi perdiamo per  strada. 


La Parola  sfama i corpi e lo spirito. La disperazione non resta senza risposta, l’attesa non viene delusa.  Nessun aspetto dell’esistenza umana sfugge allo sguardo di Gesù. Nulla di noi viene ignorato, Gesù prende in considerazione la persona nella sua globalità, non  ci sono zone franche. Quell’intreccio inscindibile di corpo e spirito  ha fame e sete di verità, di redenzione. Lo sguardo di Gesù coglie l’essenziale nell’attesa della folla. Essa verrà sfamata senza distinguere chi era venuto da vicino o da lontano, chi credeva in lui oppure no. Cristo è per tutti.  


Colpisce anche nel racconto il «poco» di cui si dispone per sfamare i «tanti». A disposizione c’è solo qualcosina, che non sarebbe bastato neppure per i discepoli. Si è predicato tanto, si è pregato intensamente, ma non c’è nulla da mettere sotto i denti. Alla resa dei conti siamo alla fame, alla sete. Sognare i nuovi cieli e la nuova terra, avvertire una forte comunione con Dio non è sufficiente se non c’è nulla da mangiare.  Senza cibo si muore. I pani e i pesci, rispetto all’esigenze in campo, sono in quantità irrisoria, siamo al paradosso per non dire al risibile.


Ma Gesù ci chiede di partire da questa soglia: quella dei piccoli gesti concreti.  Il bicchier d’acqua all’assetato,  una parola al disperato,  una visita all’isolato,  un abbraccio a chi si sente odiato, un aiuto a chi è in difficoltà economica, qualche minuto d’ascolto attento a chi si rivolge a noi con fiducia. Piccoli gesti che sono grandi agli occhi di Dio. La quantità per noi trascurabile diventa agli occhi di Dio il nucleo di un’ infinita moltiplicazione. Nella condivisione bisogna partire  da quel poco che si ha. Nessuno, io per prima, disponendo di così poco , avrei mai invitato della gente a condividere. Condividere cosa ? La fame? Ma ciò che a noi pare assurdo in Cristo diventa realtà. Anzi la quantità messa in campo si moltiplicherà in abbondanza, sino al punto che ne avanzerà anche per altri, anche per altre occasioni. Perchè  questa insistenza degli evangeli nel riferire questa curiosa vicenda? Per dirci che come discepoli dobbiamo partire da quel poco che abbiamo. Le esigenze crescono insieme ai bisogni mentre le risorse diminuiscono. Ma qualcosa c’è, è poco d’accordo. Ed è proprio da quel poco che abbiamo che occorre iniziare senza perdere altro tempo. Prima che  anche quel poco che c’è scompaia per sempre, prima che l’ultima speranza ceda il posto alla disperazione. 


Poco è la cifra dell’evangelo. Un pezzo di pane,  una manciata di sale,  una piccola luce in una notte plumbea,  indicano il Regno. C’è una potenzialità straordinaria in ogni piccolo gesto che si compie nel nome di Cristo. E’ Dio stesso che agisce al di là delle tue stesse aspettative.  Dovremmo chiedere a Dio insieme al pane anche il coraggio di condividerlo. Perchè noi siamo molto bravi a condividere gli aspetti spirituali, molto meno quelli materiali. Ma una condivisione spirituale senza una condivisione materiale è una banalizzazione del messaggio evangelico. Abbiamo paura come gli ebrei nel deserto quando  rimpiansero gli anni che erano sotto il faraone. Almeno da schiavi  un pezzo di pane, un tetto era garantito. 

Ma Dio non ci vuole schiavi, c’invita piuttosto a cogliere la sfida di avere fiducia nella sua Parola. La manna nel deserto, i pani e i pesci distribuiti a tutti sul monte davanti al mar di Galilea annunciano che la Parola sfama la nostra vita nella sua interezza. Tutti mangiarono e furono saziati. Alla sua mensa  nessuno è escluso. Non saremo certo noi ad applicare meccanismi d’esclusione all’invito del Signore alla sua mensa.  Ogni piccolo gesto di comunione,  condivisione e umanità, è più grande e potente di quello che pensiamo. Ci sia anche dato di viverlo con coraggio e  fiducia, là dove viviamo e con chi incontriamo, in Colui che può ogni cosa.  Amen

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Può essere bello, ma non è certo facile farsi pane.
Significa che non puoi più vivere per te, ma per gli altri.
Significa che devi essere disponibile, a tempo pieno.
Significa che devi avere pazienza e mitezza, come il pane
che si lascia impastare, cucere e spezzare.
Significa che devi essere umile, come il pane,
che non figura nella lista delle specialità;
ma è sempre lì per accompagnare.
Significa che devi coltivare la tenerezza e la bontà,
perché così è il pane, tenero buono






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