IL POZZO

riflessioni personali


In questi giorni ho sentito più vivamente nel cuore questa mia chiamata di essere

  testimone del Cristo, di vivere per Lui, di impegnarmi in una vita che

 almeno renda testimonianza di uno sforzo continuo a realizzare la volontà di Dio, uno sforzo continuo anche se umile; di realizzare questa volontà in una dedizione piena di me al Signore, in una liberazione da ogni mio egoismo, da ogni ricerca di me stessa.

Ho sentito più forte in me il bisogno di umiltà, di nascondimento:

 perdere il mio nome, non essere più conosciuta da alcuno, non voler far più 

nulla per mettermi in evidenza.
Voglio vivere nel silenzio per pensare a Lui solo, voglio vivere unicamente per le

 anime che il Signore mi ha affidato, e non ho alcuna ragione perché io debba uscire dal mio silenzio e dalla mia preghiera per mettermi in vista. Se anche scriverò, non voglio che il mio scrivere debba mai essere un titolo per avere una stima, un'ammirazione o un particolare amore dagli uomini.
Bisogna che mi impegni seriamente a vivere unicamente per Dio. E vivere per Dio, nel vivere la mia Consacrazione, vuol dire per me liberarmi da ogni egoismo, da ogni ricerca di me stessa.

 Gesù vivrà in me nella misura che io saprò morire a me, che io saprò accettare una vita di nascondimento e di silenzio, una vita di umiltà,
Ma se ho sentito più forte, più vivo l'appello del Signore, in questi giorni, a realizzare la mia  chiamata credo che noi tutti dobbiamo sentire, in questi giorni il bisogno di donarci a Dio con sincerità di cuore, con vera umiltà e senza riserve.


Dobbiamo cercare la santità, tendere alla santità, dobbiamo non volere che questo. Tutto quello che ci allontana da Dio e rende più difficile il nostro cammino verso di Lui, deve essere eliminato dalla nostra vita (non si può scherzare, giocare con Dio), con umiltà, senza scoraggiamenti, perché siamo delle povere creature, ma senza nemmeno dei consensi taciti alla nostra debolezza e mancanza di generosità, senza tradimenti e compromessi. Dobbiamo donarci a Dio con umiltà, sì, e anche con sincerità. Il Signore che vive in noi ci dia Lui la grazia di rispondergli come Egli vuole da ciascuno di noi.
Gesù è in mezzo a noi, e deve rimanere in mezzo a noi. Noi dobbiamo sentirne e viverne sempre la Presenza, sicché nella Presenza di Cristo cessino davvero per noi ogni volontà o velleità di metterci in mostra, di essere qualcosa, qualcuno.

 Che Egli sia! Ecco quello che noi dobbiamo volere: che Egli sia, e sia tutto, in noi e negli altri.


Attraverso di noi la Chiesa preghi e adori il Signore! Associamoci tutti alla preghiera della Chiesa, viviamo la preghiera della Chiesa, facciamo propria la preghiera della Chiesa, diamo a Lei il nostro cuore perché Essa preghi attraverso di noi. Non è cosa grande, questa?
E amiamoci! Amiamoci sinceramente, siamo disposti uno per l'altro a offrire tutto quello che abbiamo e che siamo perché l'un l'altro noi possiamo aiutarci ed essere sorretti nella nostra volontà di tendere a Dio e di voler realizzare la sua volontà, che è la santificazione nostra.


Amiamoci veramente!

 Amarsi vuol dire questo: non porsi in un piano di umana solidarietà, ma sacrificarsi gli uni per gli altri. Amiamoci soprattutto nella preghiera, nell'incitamento, nell'esempio reciproco. Ma amiamoci anche nel sostenerci, amiamoci anche aiutandoci economicamente, se necessario.
Sentiamo di vivere uniti fra noi, ma anche impegnati a un amore che trabocchi da noi su tutte le anime, su tutta quanta la Chiesa. Se noi vogliamo essere il cuore della Chiesa, noi dobbiamo avere un amore immenso, che abbracci tutte le infermità umane, tutta la povertà umana, tutti i bisogni umani, e li senta come propri, e a tutti voglia sovvenire nella misura del possibile, se non economicamente – perché economicamente si può fare ben poco – almeno nell'offerta  della propria vita, del proprio tempo, dei propri meriti, delle proprie virtù.
Che il Signore ci prenda e faccia di noi quello che vuole!
Che siamo come Gesù: un cibo, un pane che è pronto per essere mangiato da tutti, un sangue che è pronto ad essere sparso per la salvezza di tutti.
Viviamo questo duplice amore: un amore per Dio che totalmente ci consumi, un amore per il prossimo che ugualmente ci consumi. Se c'è qualcuno che non dobbiamo amare, siamo noi stessi: non facciamo nulla per noi, sappiamo liberarci da ogni egoismo!


Amore: ecco cosa deve essere una comunità. E noi dobbiamo imparare questo amore proprio da Gesù, che  ci ha dato un esempio così grande di amore. Ce l'ha dato nell'istituire la Santa Cena, ce l'ha dato nella Lavanda dei piedi, ce l'ha dato nell'assumere il peso di tutti i peccati e nel subire, agonizzando nel Getsemani, quel peso, quel dolore e quella angoscia che porta la sua Umanità fino ai limiti della morte. Ce l'ha dato, questo esempio di amore, sulla Croce. Impariamo da Lui! Si amerà quando anche noi saremo disposti a darci agli altri come pane che è mangiato, nella misura che noi saremo, come Gesù, solidali con gli uomini fino a subire e a portare su di noi il peso di tutti i castighi, di tutti i mali, di tutti i dolori. Vivremo come Gesù l'amore che Egli ha avuto per il Padre e per i fratelli se sapremo morire con Lui sulla Croce per tutti.
Impariamo da Cristo!

 Gesù è presente fra noi, ma invisibile. Dobbiamo essere noi la presenza visibile di Gesù. Se Gesù riamane nascosto e invisibile è perché Egli vuol rendersi visibile e rivelarsi nella nostra stessa vita. Che ognuno di noi sia come Gesù! Gesù che dona Se stesso come cibo alle anime; Gesù che nel Getsemani assume, nella sua solidarietà con gli uomini, il peso di tutti i peccati; Gesù che sulla Croce muore per la salvezza di tutti. Noi vivremo davvero la nostra vocazione se sapremo vivere come Gesù la sua Morte, se sapremo vivere come Gesù il suo amore.

Vivere fino in fondo. Quando sarà che noi vivremo fino in fondo questo ideale di amore? Quando sarà che noi vivremo in tal modo da essere trasformati in Cristo, così da vederlo presente davvero, oggi, nella nostra stessa vita e nella nostra stessa morte? Che il Signore ce lo conceda! Preghiamo gli uni per gli altri, perché il Signore voglia fare a tutti noi questa grazia. AMEN





Marco 2,1/12

v. 12. Ed egli si alzò e, preso subito il lettuccio, se ne andò via in presenza di tutti; sicché tutti si stupivano e glorificavano Dio, dicendo: «Una cosa così non l'abbiamo mai vista».











     Il finale della narrazione mi lascia alquanto perplessa circa la reazione dei presenti. Il paralitico, che in tutto il racconto è un personaggio silenzioso, non dice una parola di ringraziamento, ma prende il lettuccio e, guarito, scompare dalla scena. Non sapremo mai cosa abbia capito di quel dibattito, ma all'ordine di Gesù di alzarsi e andare a casa ubbidisce.

Gli amici portantini del paralitico sfumano nella folla presente. Degli scribi non si dice più nulla. Ma si racconta dello stupore generale della folla, che glorifica Dio.

Matteo (9,8) sottolinea che le folle glorificavano Dio, che aveva dato tale autorità "agli uomini". Ciò dimostra che il popolo non aveva piena comprensione della messianicità di Gesù.

Luca riferisce che il paralitico andò via glorificando Dio e che la folla glorificò Dio, stupita e spaventata, a differenza di Marco che parla solo di stupore.



     
La fede dei portantini e la sofferenza del paralitico riescono ad attrarre l'attenzione di Gesù. Sempre nei vangeli fede e sofferenza scuotono Gesù e lo impegnano a dare risposta a chi chiede aiuto. La sua compassione per i malati e i poveri è risaputa, perché ogni situazione è la punta dell'iceberg di un'umanità che ha bisogno di essere guarita e di essere salvata dal male e dal peccato.
La malattia del paralitico, la paralisi, è l'allegoria della condizione umana che vive imbrigliata nelle catene  di una religione legalistica, formale, fatta di riti e prescrizioni minuziose, o di condizionamenti socioculturali che rendono sterili e freddi le relazioni umane. Il cammino dell'uomo è impedito da tanta zavorra.
L'uomo ha bisogno di amore, di autenticità e di riconoscimento della propria dignità a prescindere dallo stato sociale, dal colore della sua pelle, dal sesso, dalla nazionalità, dalla sua cultura. Gesù risponde avendo fede nella piccola fede espressa dai gesti dei tanti disperati che accorrevano a lui e mostra di essere dalla loro parte.
In effetti, Gesù libera e guarisce attraverso il perdono; egli insegna il perdono non esprimendo un concetto, ma un atto che concretizza mediante una scelta: entrare in contrapposizione con la cultura dominante che relega il malato ai margini della società. Gesù solidarizza col paralitico e gli ridà la capacità di camminare con i suoi piedi, a testa alta, non più come individuo ma come persona, una persona amata e riconosciuta, finalmente.

Forse dovremmo riscoprire il perdono per riprendere le relazioni (inter)rotte con l'altro per rimuovere quella sofferenza prodotta da sentimenti sbagliati quali l'avidità, fonte di tutti i veleni, la gelosia, l'egoismo, la superbia, il desiderio di prevalere e dominare, il desiderio di vendetta o rivalsa, ecc. Il perdono è solo il primo passo cruciale contro l'inquinamento interiore, contro quei sentimenti malefici che intossicano l'animo e di conseguenza la vita. Per questo motivo, credo che dare risalto all'autorità di Gesù e alla sua azione sia importante come principio fondante della libertà che ci è stata donata per servirlo nella piena comunione con quanti credono in Lui.